Lettera aperta all’architetto Gregotti

Gentile Dott. Gregotti,

da qualche tempo ci capita di leggere sulla stampa, più spesso del solito, delle sue riflessioni, che troviamo molto interessanti, rispetto allo spinosissimo progetto cui Lei ha dato vita, quello dello Zen 2 di Palermo.
Il periodo, si capisce, è quello giusto. Il dibattito, almeno quello, sulle periferie impazza e, più per i giornali che per la politica, le periferie sono un argomento caldo. gregotti
Alcune delle sue considerazioni sullo Zen le condividiamo: dall’analisi del fallimento degli intenti iniziali alla gravità del mancato completamento del quartiere, dall’inappropriatezza della costruzione di un mastodontico centro commerciale al pensiero ridicolo di voler cambiare il destino di un quartiere cambiandone il nome.
E lo diciamo noi, che in quel quartiere ci stiamo quotidianamente. Lo diciamo noi che con l’assenza di servizi e istituzioni ci scontriamo giorno dopo giorno e che, come Lei, pensiamo che la soluzione non sia la distruzione, ma “aggiustare” le cose che non vanno. E proviamo a fare la nostra parte ogni giorno, lavorando sodo per combattere quella condizione di marginalità cui quel quartiere sembra essere inesorabilmente condannato. Facciamo la nostra parte occupandoci dei piccoli abitanti di quella porzione della nostra città che, più in generale, poco offre per il diritto ad un’infanzia che sia degna d’essere definita tale, figurarsi in quello che, a nostro avviso, è un quartiere violento anche solo a vedersi, per come è stato realizzato e per quanto è trascurato.
Però ci lasci dire che ci spiace leggere soltanto tanti commenti negativi, che sono, per altro, dei commenti e basta. Definire lo Zen “una disgrazia” ci pare davvero un affronto. Perché quello che Lei oggi ci spiega essere un errore è, nella realtà, una comunità.
Parlare di disgrazie e vergogne ci pare un’offesa gratuita a tutte quelle donne e quegli uomini, a quelle bambine e quei bambini che vivono quello che resta un Suo progetto e che ce la mettono tutta per superare le difficoltà dello stare ai margini, nella periferia delle periferie, non arrendendosi, non rassegnandosi a vivere come i luoghi comuni vorrebbero. Noi conosciamo uno Zen bello. Uno Zen che vuole riscattarsi. Conosciamo cittadine e cittadini fieri e orgogliosi di vivere quel posto e che lottano contro i pregiudizi e gli stereotipi che la collettività gli continua ad appiccicare addosso.
Ma una sua frase ci ha colpiti più delle altre tra le sue ultime dichiarazioni: “Non si tolgono le firme dai progetti, semmai si riconoscono le responsabilità”. E da questo vorremo partire. E per questo siamo qui ad invitarLa a rimettercelo un piede in quel quartiere e La invitiamo a farlo insieme a noi, che avremmo il piacere di guidarLa dentro la Sua creatura. E magari, chissà, potrebbe scoprire che tra quelle costruzioni incomplete e nella totale assenza di spazi di socialità di qualsiasi tipo, vivono persone e non solo errori. Magari, chissà, poter incontrare una comunità, e non una vergogna, potrebbe far sentire meglio anche Lei.